Mentre parti, 2018

Mentre parti, 2018

Rieccoci, 2018, come di consueto la stucchevole tradizione della lettera di congedo all’anno che sta partendo.

Non potevo esimermi perché, da empatica e permalosa, immaginavo il tuo eventuale disappunto.

Quindi eccoci.

Quando eri sulla soglia, lì lì per entrare, ti avevo detto che non volevo niente da te.

E tu, da perfetto esecutore, il niente hai portato.

Hai fatto spazio e, confesso, che il vuoto permette un’ottima visuale.

Infatti ho visto molto più lontano. Più del solito, per lo meno.

Per anni, nella vita, ho creduto di essere di fronte a una porta difettosa e ho speso le mie intere forze per bestemmiare l’esistenza che mi aveva dato un varco difettoso, inceppato, fallato, inutile dal quale non sarei mai potuta entrare.

Gli anni successivi li ho spesi a lamentarmi, perché forse la porta non aveva danni, ero io incapace di aprirla.

Poi sei arrivato tu e ho capito che non esiste nessuna porta. Se non quella che avevo costruito io, per andarmi in culo da sola, inconsapevolmente.

Ecco cosa è successo.

In mezzo a tutto quel niente ho iniziato a guardarmi, anche solo per mancanza di altro.

Ho iniziato a vedere quante altre cose davvero stronze ero in grado di farmi, quante brutture, frustrazioni e vigliaccheria coltivavo. Più o meno quasi tutte quelle che imputavo agli altri.

È stato davvero orribile. E miracoloso.

Non che ora sia tutto risolto. Figurarsi.

Ma la verità regala una dose di libertà e di coraggio che difficilmente si trovano altrove.

Non avevo capito quasi niente.

Ho tutto da rifare.

Per fortuna.

Ho calcato per anni un palco dieci file dietro, ben nascosta da quelli che per me erano più alti, talentuosi, capaci, degni. Nascosta a raccontarmi che quello era il mio posto, che in fondo lo facevo anche perché sono umile, ed essere umili è una dote nobile. Ero solo vigliacca. Rinunciavo a tutto per non scottarmi con l’eventuale fallimento.

Ora, sono sullo stesso palco vuoto.

Sola, senza la minima idea di cosa devo fare, senza pubblico e senza canovaccio.

Ma con una paura fottuta.

Quella che accende l’adrenalina.

E non potrei volere di meglio.

L’unico applauso che sento, lontano, sul fondo della sala vuota è il tuo, 2018.

Il vuoto era tutto quello di cui avevo bisogno.

Buon viaggio a me e a te.

 

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