Gelosia consapevole

Gelosia consapevole

È seduta lì, sul divano.
La Gelosia.
Non è vestita di giallo accesso, acido, da travaso di bile.
Non è di un giallo che acceca, che fa perdere la ragione, ma di un giallo tenue, definito,  consapevole.
Non parla molto.
Non grida al massacro.
Non ti fa venire mal di testa a furia di blaterare.
È in silenzio.
Un mutismo quasi inquietante.
Si potrebbe fingere di non vederla, se non fosse per i suoi occhi.
Occhi che ti scrutano fissi.
Ti guardano dentro.
Ti bucano il cuore.
Te li senti addosso anche mentre le volti le spalle.
Ti ricordano quanto meglio dovresti essere, a volte.
Altre, quanto dovresti essere peggio.
Meno bella, meno intelligente, meno brillante, meno sagace.
Meno.
Dovresti essere meno.
Per omologarti a chi capisce quanto basta o non abbastanza.
A chi è medio.
A chi sostiene una morale che non segue.
A chi bastano due moiene scalcinate.
A chi resta in superficie.
Placido.
Che non prende posizioni.
E si barcamena nella palude del poco, del nulla, del sufficiente.
Occhi negli occhi con lei, ti senti rimpicciolire.
Quasi da farti credere che scomparirai.
Ti paragoni a tutte e poi a te stessa.
E con te stessa il confronto non lo vinci mai.
Vuoi scappare,  nasconderti sotto le coperte e fingere che sia un brutto sogno.
E che va bene.
Puoi sopportare.
Ma non va bene.
Respiri.
Torni nei tuoi panni.
Guardi lo specchio e capisci che non potrai mai essere meno.
Mai chi non sei.
Se qualcuno vuole tradirvi, faccia pure.
Può sempre succedere.
Ma non tradite voi stesse.
Almeno voi, non fatevi questo.
Non ne vale la pena.
Per nessuno.
Per nulla.
E il divano, ora, è vuoto. 
Ciao Gelosia.
Ciao.

– ‘ Assomigli al personaggio della storia infinita’
– ‘ Quale, Atreyu?’
– ‘ No, il Nulla.’
   A.

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