L’attitudine al disagio

L’attitudine al disagio

Sto scrivendo con una mano infilata in un sacchetto di patatine.
La sinistra, per essere precisi.
Non è per nulla pratico, in realtà.
Da quando vivo sola ho capito di aver sviluppato, nel corso della esistenza, una certa attitudine al disagio.
Mi spiego, mi sono ritrovata diverse volte a cucinare la sera a luce spenta, cercando stoviglie nella penombra, percepirne la difficoltà e il fastidio e ritrovarmi, solo tempo dopo, a dirmi “ma perché cazzo non accendo la luce”.
Oppure essere in aeroporto con diverse ore di anticipo, non avendo nulla di realmente concreto da fare se non la pipì e non farla.
Perchè?
Così, senza un reale motivo o impedimento.
Semplicemente per una insana abitudine alla resistenza.
A convivere con il disagio. Per l’appunto.
Una consuetudine sottile, ma costante.
Ci sto lavorando, davvero.
Sto scrivendo, proprio ora, visualizzando la pagina come anteprima di stampa.
Con le parole piccolissime.
Presenza dietro la mia schiena.
“Ma allargalo, no? Come fai a vederci.”
“Ma sì, è uguale.”
Ora l’ho allargata.
Non era uguale per niente.
Eccola qui di nuovo, subdola, la tendenza all’incomodo.

 

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